martedì 25 marzo 2008

Il mio voto!

Un saluto a tutti i commensaletterati,

il mio voto va a IL CACCIATORE DI AQUILONI.

E' la volta buona per leggerlo, finalmente, e fra un po' esce anche il film. Sarebbe interessante andarlo a vedere, magari tutti insieme, per poi fare un commento incrociato tra letteratura cartacea e trasposizione cinematografica.

Un abbraccio e a presto,

Biagio
Voto Se una notte d'inverno un viaggiatore" di I. Calvino

Elenco Libri Quarta Cena Letteraria

Cari Letterati,
finalmente abbiamo la lista! Non ho potuto ancora leggere tutte le recensioni, ma mi sembrano tutte proposte interessanti... Stavolta la scelta sarà dura :) Ora non resta che votare: l'unica regola che ci siamo dati, è che non si può votare il libro che si è proposto. In caso di due titoli ex-aequo, decideremo insieme come fare. (Magari un ballottaggio?) Insomma, per ora votiamo tra questi, così al più presto potremo cominciare a leggere! Buona scelta!
Ps: per facilitare l'operazione di voto, ho lasciato l'opzione di risposta aperta a tutti (utenti anonimi compresi). Quindi, firmatevi, please!

Cristina -> Il colore del sole di A. Camilleri

Raffaele -> Pugni di P. Grossi

Lorella -> Lettere contro la guerra di T. Terzani

Simone -> Economia Canaglia di L.Napoleoni

Domenico -> La ragazza dello Sputnik di H. Murakami

Ileana -> Il cacciatore di aquiloni di K. Hosseini

Donatella -> Ballata ignorante per destini comuni di Mino e Massi

Massimo -> Il paradiso degli Orchi di D. Pennac

Francesca -> Persepolis di M. Satrapi

Maria Lidia -> Se una notte d'inverno un viaggiatore di I. Calvino

Laura -> Chi è il mio prossimo di A. Sofri

Federica -> Narciso e Boccadoro di H. Hesse

martedì 18 marzo 2008

Lettere contro la guerra

Per quarto appuntamento, propongo Lettere contro la guerra di Tiziano Terzani.

A prestoooo

venerdì 7 marzo 2008

Qualsiasi felicità è un capolavoro

Qualsiasi felicità è un capolavoro: il minimo errore la falsa, la minima esitazione la incrina, la minima grossolanità la deturpa, la minima insulsaggine la degrada. Alla mia non può imputarsi alcuna di quelle imprudenze che più tardi l’hanno infranta: sino a che ho agito nella direzione ch’essa m’indicava, sono stato saggio. Ritengo tuttora che a un uomo più saggio di me sarebbe stato possibile essere felice fino alla morte. (p. 155)

Le nostre qualità

Il nostro errore più grave è quello di cercare di destare in ciascuno proprio quelle qualità che non possiede, trascurando di coltivare quelle che ha. (p. 40)

Varius multiplex multiformis

La versatilità m’era necessaria; ero multiforme per calcolo, incostante per gioco. (p. 59)

lunedì 3 marzo 2008

Delizie e inganni dell'amore

Accetterò di assimilare l’amore alle gioie puramente fisiche (ammettendo che ve ne siano) quando avrò visto un ghiottone anelare di piacere davanti alla sua pietanza favorita come un innamorato sulla spalla delle essere amato. Di tutti i nostri giochi, questo è il solo che rischi di sconvolgere l’anima, il solo altresì nel quale chi vi partecipa deve abbandonarsi al delirio dei sensi. Non è necessario per un bevitore abdicare all’uso della ragione, ma l’innamorato che conservi la sua non obbedisce fino in fondo al suo demone. […] ogni atto sensuale ci pone in presenza dell’Altro, ci coinvolge nelle esigenze e nelle servitù della scelta. Non ne conosco altre ove l'uomo sia spinto a risolversi da motivi più elementari e ineluttabili, ove l'oggetto della scelta venga valutato con maggiore esattezza per il peso di piaceri che offre, ove chi ama il vero abbia maggiori possibilità di giudicare la creatura umana nella sua nudità. Stupisco nel veder formarsi di nuovo ogni volta - nonostante un abbandono che tanto eguaglia quello della morte, un'umiltà più assoluta di quella della sconfitta e della preghiera - quel complesso di dinieghi, di responsabilità, di promesse: povere confessioni, fragili menzogne, compromessi appassionati tra i nostri piaceri e quelli dell'Altro, legami che sembra impossibile infrangere e che pure si sciolgono così rapidamente. Questo gioco misterioso che va dall'amore di un corpo all'amore d'un essere umano, m'è sembrato tanto bello da consacrarvi tutta una parte della mia vita. Le parole ingannano: la parola piacere, infatti, nasconde realtà contraddittorie, implica al tempo stesso i concetti di calore, di dolcezza, d'intimità dei corpi, e quelli di violenza, d'agonia, di grida. La piccola frase oscena di Poseidonio - che t'ho visto ricopiare sul tuo quaderno di scuola con una diligenza da primo della classe - a proposito dell'attrito di due piccole parti di carne, non definisce il fenomeno dell'amore, così come la corda toccata dal dito non rende conto del miracolo infinito dei suoni. Più ancora che alla voluttà, essa reca ingiuria alla carne, a questo strumento di muscoli, di sangue, di epidermide, a questa rossa nube di cui l'anima è la folgore. (pp. 13-14)

Troppe vie che non conducono in alcun luogo

Quando prendo in esame la mia vita, mi spaventa di trovarla informe. L'esistenza degli eroi, quella che ci raccontano, è semplice: va diritta al suo scopo come una freccia. E gli uomini, per lo più, si compiacciono di riassumere la propria esistenza in una formula - talvolta un'ostentazione, talvolta una lamentela, quasi sempre una recriminazione; la memoria compiacente compone loro un'esistenza chiara, spiegabile. La mia vita ha contorni meno netti, la definisce con maggiore esattezza proprio quello che non sono stato: buon soldato, non grande uomo di guerra; amatore d'arte, non artista come credette di essere Nerone alla sua morte; capace di delitti, ma non carico di delitti. Mi vien fatto di riflettere che i grandi uomini emergono proprio in virtù d’un atteggiamento estremo, e che il loro eroismo consiste nel mantenervisi per tutta la vita: essi sono i nostri poli, o i nostri antipodi. Io ho occupato volta a volta tutte le posizioni estreme, ma non vi sono rimasto: la vita me ne ha fatto sempre slittare. E malgrado ciò, non posso neppure, come una brava persona che abbia fatto l’agricoltore o il facchino, vantarmi d’aver sempre vissuto al centro.
Si direbbe che il quadro dei miei giorni come le regioni di montagna, si componga di materiali diversi agglomerati alla rinfusa. Vi ravviso la mia natura, già di per se stessa composita, formata in parti uguali di cultura e d’istinto. Affiorano qua e là i graniti dell’inevitabile; dappertutto, le frane del caso. Mi studio di ripercorrere la mia esistenza per ravvisarvi un piano, per individuare una vena di piombo o d’oro, il fluire d’un corso d’acqua sotterraneo, ma questo schema fittizio non è che un miraggio della memoria. Di tanto in tanto credo di riconoscere la fatalità in un incontro, in un presagio, in un determinato susseguirsi di avvenimenti, ma vi sono troppe vie che non conducono in alcun luogo, troppe cifre che a sommarle non danno alcun totale. In questa difformità, in questo disordine, percepisco la presenza di un individuo, ma si direbbe che sia stata sempre la forza delle circostanze a tracciarne il profilo; e le sue fattezze si confondono come quelle di un’immagine che si riflette nell’acqua. Io non sono di quelli che dicono che le loro azioni non gli assomigliano, dato che esse costituiscono la sola misura dell’esser mio, il solo mezzo di cui dispongo per affidare me stesso alla memoria degli uomini, e persino alla mia; dato che forse l’impossibilità di continuare a esprimersi e a modificarsi con nuove azioni costituisce la sola differenza tra l’esser morti e l’esser vivi. Pure, tra me e queste azioni che mi configurano si apre uno jato indefinibile, e la prova ne è che sento senza posa il bisogno di soppesarle, di spiegarmele, di rendermene conto. Vi sono lavori di breve durata, senza dubbio trascurabili; ma altre occupazioni, che si prolungano tutta la vita, non hanno maggior significato. Per esempio, nel momento in cui scrivo, mi sembra malapena essenziale d’esser stato imperatore. (pp. 24-25)